15 giugno 1944L’Isgrec celebra la Liberazione della città di Grosseto con questa mostra on line dal taglio storico-divulgativo sugli eventi che portarono alla liberazione del capoluogo e, in poco più di due settimane, dell'intero territorio provinciale. Si è scelta una prospettiva allargata, nei tempi e negli spazi, interpretando singoli episodi della lotta di Liberazione, spesso già conosciuti e studiati, alla luce delle strategie belliche degli eserciti contrapposti, degli effetti della guerra totale sul territorio e sulla popolazione civile, dell’attività delle bande partigiane e del Comitato di Liberazione provinciale. La mostra raccoglie e rielabora materiali originali prodotti dall’Isgrec in quasi 30 anni di attività e offre spunti ulteriori per l’approfondimento del contesto provinciale: documenti, fotografie, testimonianze edite e inedite.
La mostra è stata realizzata nel 2020, nel periodo pandemico. Nel corso degli anni è stata implementata con nuova documentazione. |
Grosseto, Roselle e Marina nelle foto degli americani di stanza a Grosseto nel 1944-1945.
Credits: foto 1-5: www.47thbombgroup.org; foto 6-8: www.57thfightergroup.org |
Un lungo antifascismo, una Resistenza breve
Per parlare obiettivamente della Resistenza in Maremma non si può onestamente parlarne solamente dalla caduta del fascismo in poi, ma bisogna rimontare alle origini proprio all'affermazione dei fascisti, alla presa del potere da parte dei fascisti, con tutte le violenze che precedettero la conquista del potere e quelle che seguirono in tutto il ventennio direi quasi senza interruzione, perché i fascisti a Grosseto hanno continuato a esercitare violenza, a picchiare, a purgare, a mandare al confino e in galera quelli che non la pensavano come loro e che avevano in qualche modo il coraggio di affermarlo fino a quasi tutta la guerra. Solamente negli ultimi tempi si erano un po' ceduti di coraggio visto come andavano le cose. Perché il loro coraggio era solamente grande quando avevano affianco la polizia e i carabinieri, quando si son trovati praticamente isolati si sono regolati per quello che erano, della povera gente. Quindi io pur essendo giovane quando il fascismo ha preso il potere, avevo sedici anni quando fu fatta la marcia su Roma, devo per prima cosa fare un atto di omaggio a tutti quelli che non chinarono il capo e continuarono a pensarla dignitosamente con la propria testa, fedeli ai propri ideali. I nomi ne dovrei far troppi, molti sono stati quelli che hanno subito l'esilio, il confino, la galera, le purghe, le botte, le umiliazioni, l'esser messi al bando quasi nell'impossibilità di esercitare una qualsiasi attività e quindi anche in condizioni economiche disagiate per questa loro fedeltà agli ideali della democrazia e della libertà.
(testimonianza di Tullio Mazzoncini, Archivio Isgrec)
Le vicende del territorio maremmano, con una breve Resistenza che prende le mosse già all'indomani dell'8 settembre, per concludersi nel giugno del 1944 con la Liberazione della provincia, inducono a riflettere sul legame esistente fra l'antifascismo di lunga durata e la formazione delle bande partigiane. Si tratta di due fenomeni distinti ma connessi, di reti di relazioni che parzialmente si sovrappongono, seppur in un intervallo temporale dilatato. Nella provincia di Grosseto, infatti, l’attività dei nuclei antifascisti non si era mai spenta del tutto e il dissenso era cresciuto quando gli echi della guerra civile spagnola avevano raggiunto Grosseto; lo dimostrano i tentativi di espatrio, riusciti o meno, dei volontari antifascisti grossetani per la Spagna. Saranno proprio i reduci di Spagna, dopo l'apprendistato politico e militare compiuto sui campi di battaglia in Spagna, spesso nei campi di internamento francesi e al confino, a rappresentare, come sosteneva Paolo Spriano, le "punte di diamante" della Resistenza italiana.
Un'opposizione diffusa al fascismo trapela non solo dalle carte della polizia politica e dalle schedature dei sovversivi, ma anche dalle scritte sui muri, dalle cartoline contro Mussolini o dalla propaganda antiregime, che nel corso degli anni si accentua. La memorialistica che il secondo dopoguerra ci ha consegnato è un susseguirsi di nomi di antifascisti attenzionati, di "sovversivi" incarcerati, di violenze perpetrate dai fascisti a loro danno, in alcuni casi fino a causarne la morte. Grosseto ha i suoi martiri antifascisti già prima che si possa parlare di Resistenza in Maremma: Etrusco Benci, perseguitato dal regime, dapprima esule in Francia, poi resistente in Belgio, fucilato il 12 giugno 1943 dai nazisti nel tiro a segno nazionale di Bruxelles insieme a più di 200 patrioti belgi, medaglia d'oro alla memoria. Italo Ragni, anarchico attenzionato dal regime, espatriato per lavoro in Francia, volontario in Spagna nel 1936 nella colonna Rosselli, internato dapprima nel campo francese a Gurs e poi a Mauthausen, dove morirà il 6 maggio 1941. Altro nome simbolo della lunga durata dell'antifascismo locale è quello di Vittorio Alunno, che nell'agosto 1937 salpò con Angelo Rossi (Trueba), Luigi Amadei, Pietro Aureli e Italo Giagnoni dalle spiagge maremmane su una barca, acquistata grazie a una sottoscrizione degli antifascisti maremmani, in direzione della Corsica per poi raggiungere le Brigate Internazionali in Spagna; morì combattendo nel febbraio del 1938. A lui sarà intitolata la Banda operante nel Comune di Grosseto, che difese il capoluogo dall'ultimo assalto tedesco il 15 giugno 1944. |
L'attore Mirio Tozzini ricorda i nomi di alcuni degli antifascisti grossetani durante l'incontro nella Sala Pegaso per celebrare il 75° anniversario della Liberazione di Grosseto (giugno 2019)
MEMORIA DEI LUOGHI, LUOGHI DELLA MEMORIA
L’intitolazione delle strade e l'installazione di monumenti sono importanti: è la città che si nomina, che si qualifica, che costruisce la propria identità culturale, che decide ciò che merita di essere ricordato, riconoscendo le proprie radici storiche. Le istituzioni che progettarono la Cittadella degli Studi a Grosseto vollero che vi abitassero idealmente persone appartenenti alla storia della costruzione della democrazia. La toponomastica e il monumento ai martiri dell'antifascismo e della Resistenza collocato accanto a edifici scolastici e impianti sportivi ricordano la conquista della libertà, dopo l’esperienza di un conflitto devastante, guerra di Liberazione e guerra civile. I nomi sono quelli di antifascisti, caduti nella Resistenza in Italia o in altri paesi europei o deportati nei campi di sterminio del terzo Reich: Vittorio Alunno, Etrusco Benci, Giuseppe Scopetani, Albo Bellucci, Italo Ragni.
Dal gennaio 2017, questi ultimi 3 martiri della Resistenza sono ricordati anche da 3 pietre d'inciampo collocate davanti al Palazzo comunale, alle quali si unisce quella a Campospillo, installata l'anno successivo, in memoria di Tullio Mazzoncini. |
Nonostante le intimidazioni, le violenze, gli arresti arbitrari, le condanne al confino, l'antifascismo maremmano non si era mai realmente sopito. Ridotto in clandestinità per lunghi anni, riprese vigore alla notizia della caduta del fascismo, che iniziò a circolare nella provincia di Grosseto già la sera del 25 luglio 1943. Nei successivi «quarantacinque giorni» del governo Badoglio i gruppi antifascisti locali riuscirono a ristrutturare le proprie reti associative, instaurare contatti con i dirigenti nazionali dei principali partiti e intensificare l’attività di propaganda tra la popolazione. Era già operativo nel capoluogo un comitato antifascista composto da Antonio Meocci, Gastone Barbini, Rinaldo Ludovichi, Enrico Orlandini, Umberto Comi e Aristeo Banchi (detto Ganna). Durante questo periodo, inoltre, gli organismi amministrativi e giudiziari grossetani, forse per lo stato di confusione del momento, non frapposero ostacoli rilevanti alla riorganizzazione degli antifascisti locali. Dopo l’8 settembre, appresa la dichiarazione d’armistizio, una commissione composta da Pasquale De Leone e Delfo Fabbrini (socialisti), Tullio Mazzoncini (comunista), Walter Ceccherini (azionista) e altri prese addirittura contatti col prefetto chiedendo che le autorità governative collaborassero con il comitato antifascista. Ma già il 15 settembre 1943 i tedeschi avevano occupato la Prefettura e il distretto militare di Grosseto e tre giorni dopo in città si era ricostituita la federazione del partito fascista repubblicano (PFR): gli antifascisti furono nuovamente ridotti alla clandestinità ma i loro nomi erano ormai noti. Ai nazifascisti non restò che aspettare l'occasione giusta per liberarsi di alcuni di loro.
Il 12 settembre Aristeo Banchi (Ganna), Tullio Mazzoncini, Antonio Meocci, Giuseppe Scopetani e i fratelli Albo e Raffaello Bellucci avevano dato vita al primo Comitato di Liberazione, precursore di ciò che sarebbe poi stato il Cpln, composto inizialmente dal partito comunista, dal partito socialista e da quello repubblicano. Il Comitato si era dato il compito di coordinare le prime bande partigiane che andavano formandosi con il contributo di elementi provenienti dal disciolto esercito regio (per esempio, la divisione di fanteria Ravenna, reduce dalla Russia e dislocata tra Roccastrada e Manciano).
Il mese successivo nella zona nord di Grosseto si costituì il Comitato militare provinciale che diramò direttive per la formazioni dei gruppi armati e delle squadre di assistenza ai partigiani, formate da contadini, e promosse la costituzione dei Comitati militari comunali al fianco dei Cln locali. Di questo organo clandestino fecero parte anche Angiolo Rossi (Trueba) e Ugo Pacini, ma la sua attività subì un grave colpo nel novembre del 1943 quando fu perquisito, su delazione del fattore, il podere di Campospillo, di proprietà di Tullio Mazzoncini, luogo di ritrovo del gruppo antifascista. Furono trovati un ciclostile, del materiale di propaganda, alcune armi. Tanto bastò per l'ordine di arresto di Mazzoncini e l'ordine di cattura per Albo Bellucci e Giuseppe Scopetani, poi effettivamente arrestati, l'uno a Paganico, l'altro a Scansano, e deportati con Mazzoncini a Mauthausen. L'unico che riuscì a tornare dall'inferno fu quest'ultimo, segnato nel corpo e nell'anima ma con la voglia negli anni successivi di testimoniare le atrocità e di ricordare gli amici deportati che non fecero ritorno. «[…] Bellucci portava nel volto e in tutto il corpo i segni della sofferenza. Era sempre sorridente, però, quasi che il pensiero della morte vicina gli desse un senso di rassegnazione, di liberazione e quasi di gioia. Non solo egli era più anziano di noi, ma aveva trascorso un periodo di prigionia più lungo. (…) Quella notte, il civile austriaco che aveva l’incarico di sorvegliarci durante il lavoro, ci sussurrò che ormai la guerra volgeva al termine e giungevano notizie di rotta su tutti i fronti: la notizia ci riempì di gioia. (…) Tre giorni dopo, durante il riposo al campo, Bellucci mi disse piangendo che era stato colpito dalla dissenteria. Un brivido mi percosse le ossa. Sapevo che quel male significava la morte. Il povero Albo era ormai condannato o alla morte naturale o all’assassinio da parte dei carnefici. [...]. La mattina, durante il breve viaggio di ritorno al campo, mi parlava, mi sembrava più calmo e più sereno. Ma non potei fare a meno, all’incerta luce dell’alba, di notare il suo sguardo vitreo e le sue labbra dallo strano colore violaceo. [...]. Nel pomeriggio, al tramonto, vidi venirmi incontro Turri, il quale, con voce spezzata, mi disse che Bellucci stava per morire, fuori dietro la baracca. Corremmo e lo trovammo sdraiato a terra, con gli occhi spalancati e paurosamente vitrei. Muoveva debolmente le labbra, forse nel tentativo di mormorare una preghiera. Che cosa avremmo potuto fare noi, suoi compagni, infelici, deboli quanto lui? Dio! Dio!». |
CAMPOSPILLO
A. Meocci, Campospillo, in Nuovo Corriere, 23 settembre 1950
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Nel novembre 1943 la direzione del Cpln si spostò a Castel del Piano. Il trasferimento del coordinamento restituisce la particolare topografia del fenomeno resistenziale maremmano, caratterizzato dalla presenza di bande in zone decentrate rispetto al capoluogo. La diffusa presenza di boschi e macchia e il gran numero di poderi garantirono un rifugio sicuro a militari sbandati e a renitenti, spesso accolti e protetti dalle famiglie rurali. Furono loro, sbandati e renitenti alla leva della RSI, a costituire in molti casi il nucleo iniziale portante delle formazioni.
Il fenomeno del decentramento rispetto al capoluogo fu però determinato anche dall’impatto delle vicende belliche sull'intero territorio provinciale: attraversata da importanti vie di comunicazione indispensabili ad alimentare il settore tirrenico della Linea Gustav – e, dal gennaio 1944, l’attività di contenimento della sacca di Anzio – la provincia di Grosseto era stata sottoposta a pesanti bombardamenti da parte degli Alleati fin dalla primavera del 1943; attacchi che avevano distrutto vite e ridotto il capoluogo, ma anche centri urbani posti in prossimità dei nodi ferroviari e delle strutture portuali (si pensi a Porto Santo Stefano), a cumuli di macerie. L'intero territorio amiatino divenne, come altri territori ai limiti della provincia, meta di sfollamento per una popolazione, quella grossetana, impaurita dai bombardamenti e in cerca di soluzioni abitative dopo le devastazioni degli immobili. Anche molte strutture amministrative dello Stato fascista furono delocalizzate in località ritenute più tranquille e più facilmente difendibili; tra queste, appunto, Castel del Piano. |
...il legame con la popolazione che in Maremma è stato fortissimo proprio, la popolazione in Maremma era tutta dalla parte nostra, [...] per lo meno quella delle campagne, che era quella che rischiava di più... la popolazione non è che lo facesse per qualche idea politica [...] ma lo faceva proprio come ribellione al fascismo e ribellione alla guerra e lo faceva con grande convinzione anche chi non era partigiano prettamente, nel senso che ci apriva le case ci passava i viveri [...] lo facevano come un atto di ribellione al fascismo per far finire la guerra e far finire il fascismo... BOMBARDAMENTI SU GROSSETO
Il primo dei 19 bombardamenti su Grosseto fu quello del 26 aprile 1943, lunedì di Pasqua. Sulla città fu scaricata una potenza di fuoco di quasi 400 bombe da 300 libbre e circa 2000 bombe a frammentazione, le cosiddette cluster bombs, che si aprivano a comando e che contenevano spezzoni dal peso di 20 libbre. La popolazione fu colta di sorpresa e non fece in tempo a raggiungere i rifugi antiaerei. Emblema della strage fu la giostra del luna park di piazza De Maria; tra le 134 vittime, tantissimi bambini.
Il bombardamento del lunedì di Pasqua nei cinegiornali dell'Istituto Luce
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Il trasferimento della direzione del Cpln coincise con l'intensificarsi in Maremma della formazione e della presenza di raggruppamenti di sbandati, partigiani e renitenti, più o meno coordinati fra loro. Le prime, precoci azioni furono però frenate dal duro inverno, per poi riprendere massicciamente al sopraggiungere della primavera. Tra le prime bande a formarsi, già all'indomani dell'8 settembre, quella dei "ragazzi della Torre" di Massa Marittima, che diedero il via a una lotta di Liberazione tra le più gloriose del territorio maremmano.
Gli occupanti tedeschi imposero fin da subito, autonomamente o in collaborazione con i fascisti guidati dal capo della Provincia Alceo Ercolani, particolarmente zelante nell'imporre l'ordine con feroce violenza, misure volte ad assicurare il controllo del territorio. Mentre si susseguivano le direttive del Comandante delle armate tedesche in Italia, Kesselring, volte a reprimere ogni forma di dissidenza, la Maremma diventò bottino di guerra: occupazione di beni immobili, requisizione di generi alimentari, bestiame, prodotti minerari. Ma non solo: dopo il fallimento del reclutamento di “volontari” per il lavoro coatto, affidato alle autorità locali della RSI, i tedeschi iniziarono i rastrellamenti per l'avvio al lavoro obbligatorio, accentuando il risentimento e l’odio delle popolazioni locali verso l’occupante straniero. Oppositori politici ed ebrei furono perseguitati e deportati. E' del novembre 1943, addirittura in anticipo rispetto alle direttive del fascismo repubblicano, l'istituzione del campo di internamento per ebrei nel seminario vescovile di Roccatederighi, fortemente voluto dal capo della Provincia Alceo Ercolani. A tutto questo si uniscano i bandi Graziani per la formazione del nuovo esercito fascista, il primo del 9 novembre 1943, che disponeva la chiamata alle armi delle classi 1923-’24-’25. Agli scarsi risultati del reclutamento tentò di porre rimedio il decreto di Mussolini del 18 febbraio 1944, che minacciava la pena di morte per renitenti e disertori e stabiliva nella data dell'8 marzo 1944 l'ultimatum per la presentazione alle armi. Da quel momento i casi di renitenza ebbero un'impennata: a fine marzo su circa 2700 chiamati alle armi in tutto il territorio provinciale se ne presentarono poco più del 20%. Il capo della Provincia Alceo Ercolani arrivò a disporre la sospensione di ogni forma di assistenza, il mancato rilascio o la revoca delle licenze per gli esercizi pubblici, il licenziamento dei dipendenti statali e perfino l’arresto per i genitori dei renitenti, cosa a cui si oppose coraggiosamente il pretore di Massa Marittima, Donato Giuseppe De Marco, ricordato anche da Calamandrei in uno scritto molto conosciuto. |
I provvedimenti adottati dai fascisti dettero vita a fenomeni di solidarietà collettiva e a rivolte spontanee popolari, che videro in prima linea parenti e amici dei renitenti, spesso appoggiati dall’attività partigiana. Si trattava di una vera e propria disobbedienza di massa ad autorità considerate illegittime, figlia di un clima ormai da guerra civile. Nel capoluogo maremmano e in periferia si contarono molti di questi episodi [...]i; il 20 gennaio 1944 un centinaio di donne si recò alla caserma di Montieri per chiedere il rilascio di 13 genitori di renitenti (la reazione a fuoco fascista provocò due morti e numerosi feriti); lo stesso giorno a Civitella Marittima 150 persone manifestarono contro i controlli sui renitenti alla leva disposti dai carabinieri; il 23 gennaio a Torniella 60 donne chiesero il rilascio della madre di un renitente di fronte alla caserma della GNR (6 arrestati); il 25 gennaio a Santa Fiora 60 individui armati di bastoni si radunarono di fronte alla caserma dei carabinieri per ottenere la liberazione di 3 renitenti (membri dell’arma lanciarono 3 bombe a mano che ferirono 2 civili); il 29 gennaio a Montebono di Sorano 2 carabinieri alla ricerca di renitenti di leva furono disarmati da un gruppo di partigiani; l'8 febbraio a Scansano spari contro 2 militi della GNR che accompagnavano un renitente in caserma ed infine il 16 febbraio alla Castellaccia (Campagnatico) ancora fuoco su 2 militi della GNR addetti alla consegna delle cartoline-precetto. Le fonti dell’immediato dopoguerra enfatizzano forse il malcontento popolare, ma riportano fatti, che danno una realistica rappresentazione del clima dell’epoca, tra rastrellamenti, metodi repressivi e brutalità. |
L'episodio più grave fu la cattura e la fucilazione, dopo un processo farsa nella scuola di Maiano Lavacchio (nel Comune di Magliano in Toscana), di 11 giovani renitenti catturati nella macchia di Monte Bottigli, zona boschiva al confine tra il Comune di Grosseto e quello di Magliano in Toscana. Tutte le fasi, dall'infiltrazione del delatore alla cattura, dal processo farsa alla fucilazione, furono condotte da fascisti. La vicenda, conosciuta come la strage dei Martiri d'Istia, frazione del Comune di Grosseto da cui provenivano molti dei giovani uccisi, rappresentò una sorta di spartiacque nella storia della Resistenza maremmana, perché suscitò una vasta indignazione e una maggior consapevolezza da parte della popolazione della natura del regime nazifascista. Gli intenti di Ercolani, che lodò "il brillante fatto d'armi", erano incutere timore in modo tale che i giovani si presentassero alla leva e spezzare la cooperazione tra popolazione civile e partigiani e/o renitenti; gli effetti furono esattamente l'opposto: formazione di una nuova banda partigiana a Maiano Lavacchio, aumento di presenze nelle file di altre, maggior numero di renitenti alla macchia, rafforzamento dell'appoggio popolare alla Resistenza. Anche alcuni fascisti criticarono apertamente l’operato di Ercolani, qualificando l'episodio come un errore politico. Ma la breccia nel consenso al fascismo, già aperta da tempo, era ormai uno strappo non più ricucibile.
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Giugno 1944: i giorni della Liberazione
11 giugno 1944: Pitigliano
12 giugno 1944: Capalbio, Campagnatico, Manciano 12/14 giugno 1944: Scansano 13 giugno 1944: Sorano, Monte Argentario 14/15 giugno 1944: Roccalbegna, Magliano in Toscana, Semproniano, Castell'Azzara 15 giugno 1944: Orbetello, Grosseto, Seggiano 18 giugno 1944: Santa Fiora 19 giugno 1944: Castel del Piano, Arcidosso 22 giugno 1944: Civitella Paganico, Scarlino 23 giugno 1944: Gavorrano 24 giugno 1944: Follonica, Massa Marittima, Roccastrada, Cinigiano 25 giugno 1944: Castiglione della Pescaia, Montieri 28 giugno 1944: Monterotondo Marittimo |
Credits: "1943-1945. La liberazione in Toscana. La storia e la memoria",
con introduzione di I. Tognarini (Pagnini editore 1994) |
Le azioni delle bande partigiane ripresero con vigore a partire dalla primavera del 1944. Nel mese di giugno il dato storicamente e militarmente rilevante è che le bande ingaggiarono in Maremma un numero crescente di combattimenti direttamente coi reparti tedeschi. Lo fecero sotto la spinta dell'auspicato ricongiungimento con l'avanzata degli Alleati, ma anche perché finalmente armate in modo decente, grazie agli aviolanci (e/o alle armi sottratte alla GNR, ma in misura molto minore). I raggruppamenti partigiani avevano ormai affinato le proprie tattiche di guerriglia: la conoscenza del terreno, le buone comunicazioni e la grande mobilità consentivano loro di scegliere luogo e momento adatto per colpire, massimizzando i danni per il nemico (seppur senza dubbio sovrastimati dalle relazioni) e minimizzando le perdite, riuscendo a ostacolare in modo significativo la ritirata tedesca.
Una ritirata, quella delle truppe germaniche lungo il litorale tirrenico, caratterizzata non solo dalla devastazione di infrastrutture per rallentare la risalita degli Alleati, ma anche da crimini efferati contro i civili. Quelle in Maremma furono le prime, terribili stragi dell'"estate di sangue” del 1944, che vide in tutta la Toscana la violenza fascista accompagnarsi a quella dell'“alleato occupante” tedesco. In rapida successione intorno alla metà di giugno il territorio provinciale fu dilaniato dalle stragi: a Roccalbegna il 10, il 12 a San Leopoldo vicino a Marina di Grosseto, accompagnate negli stessi giorni da rastrellamenti nella zona di Castiglione della Pescaia e nella frazione di Buriano, dove la strage della popolazione rastrellata fu evitata solo per l’intervento del parroco don Ermanno Carresi. Tra il 13 e il 14 l'episodio più sconcertante: l'uccisione degli 83 minatori di Niccioleta. Nei giorni seguenti nel territorio di Sorano altri quattro civili furono uccisi. Nella zona di Semproniano tra il 15 ed il 16 due uomini furono fucilati per rappresaglia; ed ancora, il 23 giugno, a poche ore dall'entrata degli americani a Massa Marittima, militari tedeschi, molto probabilmente con la complicità dei fascisti, prelevarono dalla sua casa la giovane Norma Parenti, uccidendola dopo ore di sevizie. La scia di sangue a Massa Marittima non si fermò neanche il giorno successivo.
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L'ATLANTE DELLE STRAGI NAZISTE E FASCISTE
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A ciò si aggiunse per la popolazione il dramma dei bombardamenti degli Alleati, che si intensificarono in quei giorni colpendo rotabili e obiettivi militari, ma anche centri abitati. A Pitigliano, il 7 giugno, le bombe spezzarono la vita di circa 80 persone. Ad Arcidosso il 10 giugno più di 100 vittime, molte delle quali erano lì sfollate per sfuggire ai bombardamenti di Grosseto. Santa Fiora fu colpita il 12 giugno, 24 i morti. Porto Santo Stefano vide l'ultimo devastante raid aereo del 7 di giugno infierire sull'abitato e sul porto, obiettivi già ripetutamente colpiti, tanto che alla fine della guerra risultarono danneggiate oltre il 90% delle case del paese; anche per questo il Comune di Monte Argentario fu insignito della Medaglia di bronzo al valor civile.
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Negli stessi giorni, però, mentre l’avanzata alleata da sud procedeva lungo due direttrici, una interna e l’altra sulla costa (dalla provincia di Grosseto fino a quella di Pisa lungo la via Aurelia), iniziarono da parte delle forze partigiane le azioni tese alla Liberazione della provincia. Alcuni tentativi terminarono con successi solo parziali e videro le posizioni conquistate perse dopo poche ore o qualche giorno. Ne sono esempi, il caso di Arcidosso dove, con gli Alleati ormai alle porte, il 9 giugno i fascisti si dettero alla fuga e lasciarono il paese in mano ai partigiani, ma la sera stessa i militari tedeschi rientrarono in paese e, per rappresaglia, mitragliarono indiscriminatamente, uccidendo due civili e ferendone altri nove. Nel caos della ritirata anche a Roccalbegna il mattino del 10 giugno i partigiani raggiunsero l'abitato, dando luogo a un festoso e partecipato corteo, mentre alle finestre delle case sventolavano i drappi bianchi; dopo le ore 13, però, da Triana, sede del comando germanico, i soldati tedeschi rientrarono in paese per la rappresaglia.
Lo stesso giorno un grosso gruppo di partigiani della III Brigata Garibaldi, entrato a Monterotondo per assaltare e ridistribuire alla cittadinanza l'ammasso dei viveri, riuscì a disarmare i militi della guardia nazionale repubblicana. L'illusione di aver preso il paese durò lo spazio di poche ore: già nella mattinata i soldati delle SS tedesche e italiane assediarono il paese con mortai e mitragliatrici pesanti. L'eroica resistenza dei partigiani, che costò cinque vittime (tra cui Alfredo Gallistru e Mario Cheli, entrambi Medaglia d'argento al valor militare) e numerosi feriti, permise alla popolazione di disperdersi e mettersi in salvo. Il paese, ripreso dai tedeschi, fu infine, ultimo tra i Comuni della provincia, liberato il 28 giugno all'arrivo degli Alleati.
Anche Montieri conobbe vicende simili: dopo una precoce occupazione da parte dei partigiani il 12 giugno, gli Alleati entrarono in paese soltanto il 25 giugno. A Roccastrada, invece, fu la fuga dei fascisti a permettere un primo ingresso dei partigiani in paese, cui seguì da parte della Brigata "Antonio Gramsci" la difesa dalle truppe tedesche in ritirata, con scontri che si dipanarono tra il 21 e il 23 giugno. Dopo la fuga della popolazione, Roccastrada fu devastata e minata dai tedeschi, prima di venire definitivamente liberata dall'arrivo degli americani il 24 giugno. |
L'ENTRATA DEGLI AMERICANI IN ALCUNI COMUNI
Foto 1. A Roccastrada
Foto 2. A Manciano (Foto di Bruno Baccioli Foto 3-8. A Massa Marittima (Archivio fotografico Banchi) |
Fu così l'abitato di Pitigliano il primo a essere effettivamente liberato la sera dell'11 giugno 1944 dai partigiani, che costrinsero la guarnigione tedesca ad allontanarsi e difesero il paese fino all'arrivo delle prime truppe americane, la sera del 13 giugno.
Dopo la fuga dei fascisti il 12 giugno, i partigiani del tenente Antonio Lucchini avevano occupato la frazione di Montemerano; presero contatto con gli americani offrendo preziose informazioni che permisero alla "Task force Ramey" di entrare a Manciano, mentre i tedeschi si ritiravano verso le pendici del Monte Amiata. Le formazioni partigiane collaborarono poi alle azioni contro i tedeschi in ritirata, condotte soprattutto dalle truppe franco-algerine, prevalentemente composte da marocchini. La zona amiatina rappresentava però un'area di interesse strategico e, grazie alla sua morfologia, i tedeschi poterono più a lungo difendere le proprie posizioni. Cinigiano, ad esempio, fu liberata solo il 24 giugno. Il territorio fu scelto come luogo d'incontro il 29 giugno, giorno successivo alla definitiva liberazione di tutta la provincia, tra il generale Clark e il generale De Gaulle.
Dopo la fuga dei fascisti il 12 giugno, i partigiani del tenente Antonio Lucchini avevano occupato la frazione di Montemerano; presero contatto con gli americani offrendo preziose informazioni che permisero alla "Task force Ramey" di entrare a Manciano, mentre i tedeschi si ritiravano verso le pendici del Monte Amiata. Le formazioni partigiane collaborarono poi alle azioni contro i tedeschi in ritirata, condotte soprattutto dalle truppe franco-algerine, prevalentemente composte da marocchini. La zona amiatina rappresentava però un'area di interesse strategico e, grazie alla sua morfologia, i tedeschi poterono più a lungo difendere le proprie posizioni. Cinigiano, ad esempio, fu liberata solo il 24 giugno. Il territorio fu scelto come luogo d'incontro il 29 giugno, giorno successivo alla definitiva liberazione di tutta la provincia, tra il generale Clark e il generale De Gaulle.
La risalita degli Alleati verso Grosseto fu invece molto veloce, seppur osteggiata da un terreno devastato sia dai bombardamenti americani, sia dalle distruzioni tedesche, che seguivano la strategia del "fare terra bruciata" man mano che abbandonavano i territori. La quasi totalità dei ponti sui fiumi più grandi, come l'Albegna, era stata distrutta, ma anche il guado di rigagnoli più piccoli, come l'Osa, impose uno sforzo notevole da parte dei genieri per l'approntamento di ponti mobili e strutture provvisorie per collegare le sponde.
Dopo la liberazione di Capalbio e Porto S. Stefano, il 13 giugno il 142° e il 143° Reggimenti fanteria della 36° Divisione Texas (V Armata americana) fronteggiarono una forte opposizione tedesca a Bengodi, vicino a Fonteblanda, sulla riva sinistra del torrente Osa. Il giorno successivo il 142° Reggimento inflisse una dura sconfitta ai reparti della 162° Divisione di fanteria Turkmena, riuscendo a occupare il paese di Magliano in Toscana. La quasi totale liberazione della zona Sud spianò la strada verso Grosseto. I principali ostacoli - postazioni di artiglieria tedesche sparse, guado del fiume Ombrone, campi minati - furono facilmente superati. Dopo Collecchio, le divisioni americane procedettero nella piana dell'Ombrone; nelle stesse ore la formazione "Vittorio Alunno" si stava preparando a difendere Grosseto dall'ultimo assalto dei tedeschi. |
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Grosseto liberata dai partigiani
La mattina del 15 giugno 1944 Grosseto era semideserta. La notizia della veloce avanzata degli Alleati aveva provocato il fuggi-fuggi delle autorità fasciste già da alcuni giorni. Anche i tedeschi erano usciti dalla città. Si sapeva che i partigiani e gli Alleati avevano liberato alcuni Comuni a Sud e si aspettava da un momento all'altro l'arrivo degli americani. Il CLN occupò il palazzo comunale, la Casa del littorio, la Prefettura, la Questura. Tra le formazioni che operavano nel territorio comunale, solo la "Vittorio Alunno" era presente nel capoluogo ed è proprio dalla relazione della formazione e dalle memorie di Aristeo Banchi (Ganna), che ne assunse il comando, che è possibile ricostruire i fatti. I partigiani e tutti gli uomini disponibili furono organizzati in tre squadre per monitorare la situazione e intervenire in caso di bisogno: la prima fu inviata in località Fiume Morto per impedire il danneggiamento dell'acquedotto; la seconda fu disposta al campo sportivo di via Amiata, l'attuale piazza Nassiria, per controllare dalle mura tutta la zona di San Martino; la terza si posizionò sulle mura tra la Cavallerizza e Porta Vecchia per sorvegliare la piana dell'Ombrone.
L'ordine era di sparare solo in caso di necessità. Le staffette avevano avvisato che il grosso dell'esercito nazista aveva preso la via di Roselle e del Ponte Tura. Intorno alle 10, però, la squadra di vedetta sopra Porta Vecchia avvistò un gruppo di soldati tedeschi che avanzava lentamente verso il centro storico da via De' Barberi e dette l'allarme. Avvicinatisi alle mura, i tedeschi si accorsero della presenza dei partigiani e aprirono il fuoco. Superarono Porta Vecchia e tentarono di risalire alla Cavallerizza ma furono fermati dallo scoppio di una bomba lanciata da Mario Vannuccini, sulle scale della piazza del Mercato, oggi piazza del Sale. Il giovane Elvio Palazzoli, che stava ripiegando verso il bastione Maiano, fu inseguito e catturato dai tedeschi, ucciso e gettato giù dalle mura. Scesi dalle mura, i tedeschi caricarono i loro morti e feriti e uscirono dal centro storico, proseguendo in direzione Nord. Morirono nello scontro altri 5 uomini oltre a Palazzoli: Renato Ginanneschi, Paolo Santucci, Luigi Falciani, Agostino Sergenti, Giuseppe Cennini, riconosciuti partigiani della "Vittorio Alunno". Furono fatti prigionieri alcuni soldati tedeschi, poi consegnati agli americani. Una bandiera bianca (in una fonte si parla anche di una bandiera rossa) fu issata per segnalare alle truppe angloamericane che la città era stata sgombrata dalle truppe tedesche. |
La dotazione di armi era costituita da una ventina di moschetti, da alcune bombe a mano di fabbricazione italiana, che facevano più rumore che danno, da due bombe a mano americane molto pericolose. Qualche fucile ci era stato dato da un tenente dei carabinieri, il Montini, che comandava la caserma di Piazza De Maria. Qualche ora più tardi si verificò sotto gli uffici del Comune un episodio per certi aspetti curioso. Dopo gli scontri della mattina, c’era ancora forte tensione, io stazionavo sotto il Palazzo municipale con Emilio Di Renzone, Angiolino Rossi (di Daniele, un comunista che non va confuso con Trueba), Lio Lenzi e Enrico Orlandini. Improvvisamente da via Ricasoli vedemmo arrivare spavaldo un ufficiale tedesco: era a piede e spingeva una bicicletta, il suo tascapane era minacciosamente gonfio. Giunto vicino al Rossi, accortosi che aveva al collo un fazzoletto rosso, gli si avventò contro per strapparglielo, ma noi lo bloccammo e, dopo averlo disarmato, lo spingemmo nel palazzo comunale. Con prudenza perquisimmo il suo tascapane, convinti che contenesse delle bombe e, sorpresi, trovammo invece un’oca, evidentemente il bottino di guerra, “requisito” in qualche pollaio. |
Il Cln di Grosseto, "la migliore espressione del popolo"
Il Cpln assunse immediatamente funzioni di governo, collocò nelle pubbliche amministrazioni uomini di fiducia e designò il sindaco di Grosseto, Lio Lenzi, e il vicesindaco, Delfo Fabbrini. All’arrivo degli Alleati, il Cpln si presentò come un organismo unitario e paritetico, rappresentativo di tutti i partiti presenti nella provincia: Antonio Meocci ed Emilio Di Renzone (presidente e segretario) rappresentavano il Pc; Delfo Fabbrini e Camillo Saracinelli il Psi; Piero Francalanci ed Enrico Saracinelli la Dc; Giuseppe Nenci il Pli; Pio Biagi e Adriano Pieraccini il Pri; Pier Maria Bernardini il Pd’A. Anche la formazione della Giunta comunale, a cui il Cpln procedette nel mese di luglio, rispondeva agli stessi criteri unitari e paritetici, rivelando la preoccupazione del Comitato di non pregiudicare con un’eccessiva presenza comunista i rapporti con gli alleati.
Fu elaborato un piano di ristrutturazione civile e amministrativa della provincia, che ebbe di fatto il pieno riconoscimento dell’Allied military governement (Amg), con la quale fin da subito il Cpln instaurò, diversamente da ciò che accadde nelle altre province toscane, rapporti di reciproca stima, favoriti dallo spirito fortemente democratico e libertario del capo dell’Amg a Grosseto, il governatore della provincia, ten. col. Robert Alexander Benjamin Hamilton. Classe 1903, figlio dell'undicesimo Lord di Belhaven e Stanton, nell'East Lothian (Scozia meridionale), Hamilton era un Pari del Regno, destinato nel 1950 a prendere il posto del padre alla Camera dei Lord; un uomo, quindi, pienamente inserito nel sistema di governo inglese, con forti sentimenti monarchici. Eppure, si dimostrò il migliore alleato degli uomini del Cln grossetano, fortemente antimonarchici, stringendo con la "wild crew", come li definì nelle sue memorie, inedite in Italia, un patto di lealtà e collaborazione che andò ben oltre l'ufficialità, soprattutto con Aster Festa, primo prefetto nominato dal Cpln, "un ufficiale postale, un comunista dichiarato, sebbene in realtà un uomo di spirito liberale". In lui Hamilton trovò "il più fidato ed entusiasta luogotenente, ben informato nelle questioni di procedura amministrativa italiana". La sintonia e la cordialità traspaiono anche dalla relazioni periodiche di Hamilton, pubblicate da Roger Absalom nel 2001 in Gli Alleati e la ricostruzione in Toscana.
Il Cpln si occupò subito e con efficacia dei più gravi problemi della popolazione come la ripresa delle attività economiche (attività produttive e annonarie, servizi di pubblica utilità, ecc.) e la riapertura delle scuole del capoluogo, o come la pubblicazione di un giornale, l’«Etruria Libera», organo ufficiale del Comitato; inoltre, preminente fu la preoccupazione di neutralizzare i fascisti più pericolosi e, a questo scopo, già il 1° luglio il Comitato prese contatto con l’Amg per la stesura degli elenchi dei fascisti fuggiti, di quelli pericolosi e degli operatori economici collaboratori dei tedeschi. Significativo dello spirito costruttivo e unitario di cui le forze antifasciste grossetane seppero dar prova fu il riconoscimento ufficiale del Cpln da parte dell’Amg, sancito da un documento emesso il 5 agosto 1944 dal ten. col. Hamilton. In questa nota i Cln vennero definiti «la migliore espressione del popolo». L’Amg riconobbe il Cpln come autentica e genuina espressione popolare di transizione, in attesa e in preparazione dell’assetto democratico; come consiglio direttivo paritetico in campo politico; come organo consultivo, dotato di iniziativa, in ambito amministrativo; come sostituto temporaneo dei normali organi elettivi. Il Cpln fu dunque chiamato a designare e a trasmettere al prefetto i nominativi suggeriti per la Deputazione provinciale, i sindaci, le giunte comunali e ogni altra carica sia comunale che provinciale. Un chiaro esempio del suo ruolo chiave nella nomina dei funzionari pubblici fu il caso del prefetto della provincia: nei giorni della liberazione, il Cpln aveva insediato in Prefettura, quale commissario provinciale, il comunista Aster Festa. In luglio il potere centrale lo sostituì con il prefetto di carriera De Dominicis. Si trattava di una prassi in tutte le province liberate: il prefetto nominato dai Cln prima o poi era sostituito con un funzionario di carriera, espressione del governo centrale; ma a Grosseto il cambio fu troppo repentino e l'uomo scelto inadatto. Già nelle relazioni di fine luglio Hamilton lamentava contrasti tra De Dominicis e gli uomini del Cpln, schierandosi dalla parte del Comitato e denunciando la non comprensione da parte del primo dei problemi della provincia. Contrasti ancor più forti si ebbero per via della propaganda monarchica più o meno velata del nuovo prefetto e per la sua avversione verso i poteri della commissione per l'epurazione, presieduta dall'ex prefetto, ora viceprefetto, Aster Festa. Nel novembre 1944 fu espressamente chiesta sia dal Cpln che dall'Amg la sostituzione di De Dominicis; il nuovo prefetto "politico", l’antifascista Amato Mati del Partito d'Azione, consacrò con i suoi decreti la funzione consultiva, sia politica che amministrativa, del Cpln anche nei confronti dell’autorità governativa italiana (con la formula: «sentito il Cln»). Nonostante la sintonia e la collaborazione tra Hamilton e il Cpln, la ripresa del territorio stentava; le relazioni alleate segnalano la cronica mancanza di fonti di energia tra i problemi più urgenti cui porre rimedio: non solo i trasporti erano costantemente a rischio, ma anche le macchine agricole erano spesso ferme per mancanza di carburante. L'energia elettrica era razionata nei centri urbani, totalmente assente nelle zone minerarie, con gravi ripercussioni sull'attività estrattiva. La vocazione rurale del territorio riuscì bene o male a garantire il fabbisogno alimentare, almeno fino all'autunno 1944. Gravi le condizioni sanitarie, con casi di malaria a Castiglione della Pescaia, dove la mancanza di cura del territorio dovuta alla guerra aveva lasciato troppo spazio al padule, e focolai di tifo a Orbetello; un aumento di casi di tubercolosi fu dovuto al fatto che il sanatorio cittadino, "Villa Pizzetti", fu occupato da un ospedale da militare alleato e i malati trasferiti nelle loro case, causando ulteriori contagi. Tragico, invece, il bilancio della mancanza di alloggi, cronico in alcuni centri urbani e aggravato dai bombardamenti dei mesi precedenti e dalle distruzioni operate dai tedeschi in ritirata. |
La Giunta, appena insediata, procedette alla revisione del bilancio preventivo per il 1944, già approvato dal Commissario prefettizio il 26 febbraio di quell’anno, in cui lo stesso Commissario, per raggiungere il pareggio, aveva confermato la sovrimposta comunale sui terreni e sui fabbricati fino al terzo limite [...]. [La giunta], pur ritenendo giusta l’applicazione dell’imposta al terzo limite sui terreni, rifiutò di applicarla ai fabbricati, data la grave carenza in città degli alloggi ed il blocco dei fitti, così come rifiutò di raddoppiare le imposte di consumo unificate tenuto conto nelle condizioni allora presenti mancava l’imponibile (vino e carni). [...] Un’altra sua deliberazione per moderare il dilagante fenomeno della “borsa nera” fu quella di ricostruire uno “Spaccio del popolo” sotto il suo diretto controllo. Ristrutturata nel novembre del “prefetto politico” Amato Mati, dopo aver messo in relazione agli stanziamenti con gli accertamenti dell’annata, chiuse in pareggio per la cifra di £. 17.881.102,35 il bilancio, che fu approvato dal prefetto il 25 febbraio 1945. |
Un peggioramento della situazione si ebbe nell’inverno 1944-1945 a causa delle avverse condizioni meterologiche. Forti piogge resero impraticabili le strade, causando un rallentamento nel rifornimento di generi alimentari. La rottura degli argini dell'Ombrone e l'alluvione di Grosseto del 2 novembre del 1944 causò più di 10 morti, devastazione di campi, isolamento di agglomerati rurali, inagibilità di molte abitazioni, con la necessità di trovare ricovero a centinaia di cittadini. Cpln e Amg collaborarono in stretta sintonia per alleviare le difficoltà del momento, riuscendo anche a gestire una situazione potenzialmente esplosiva tra la popolazione, memore dei bombardamenti, e i piloti di caccia di stanza a Grosseto, che furono ammassati in città per via dell'inagibilità degli alloggi precedentemente loro assegnati.
Il ten. col. Hamilton lasciò Grosseto all'indomani del 25 aprile del 1945. Lasciava Grosseto "con un senso di profondo rispetto per la sua simpatica e laboriosa popolazione e con molti felici ricordi". La città si avviava, con ancora la guida salda degli uomini del Cpln, del sindaco Lenzi e del prefetto Mati, verso un lento ma progressivo ritorno alla normalità.
Piazza Dante nelle foto dei soldati americani di stanza a Grosseto tra il 1944 e il 1945 (credits: www.47thbombgroup.org)